La comfort zone

“O farete un passo avanti verso la crescita o farete un passo indietro verso la sicurezza”
(Abraham Maslow)

Cosa si intende per comfort zone?

La comfort zone può essere intesa come una dimensione in cui l'individuo non prova stress né sensazioni di rischio. Può essere una dimensione fisica, geografica o mentale ed è costituita da ciò che ci è familiare di tale dimensione. Familiare significa conosciuto e prevedibile, perciò offre la percezione di avere un certo grado di controllo e un senso di sicurezza.

La comfort zone è un contesto soggettivo, che varia da persona a persona e raccoglie le routine, le abitudini, gli schemi comportamentali e i modelli mentali che un individuo adotta per affrontare un'esperienza. Nonostante sia traducibile come 'posto sicuro', la formula 'zona di comfort' è spesso utilizzata con una declinazione negativa: "bisogna lasciare la propria zona di comfort", "è meglio uscire dalla comfort zone".

In realtà, essa non è da condannare a priori. Anzi, è auspicabile avere delle comfort zone: come sapremmo comportarci senza i nostri schemi e modelli? Ci sentiremmo sempre disorientati e persi. Oppure immaginiamo una persona che non ha alcuna comfort zone: come potrebbe vivere? In costante agitazione, se non in perenne allerta. Per esempio, chi ha vissuto un trauma ha sentito lacerarsi ogni sua zona di comfort. Eppure, anche questi pazienti, con le ripetizioni del trauma stesso, cercano di ricostruirsi delle comfort zone, dove la qualità del comfort è data dal ritrovare e ri-conoscere proprio quel trauma.

Perciò, poter contare su una comfort zone è un buon punto di partenza e non è scontato averne una.

Perché uscire dalla zona di comfort?

Data la premessa, la comfort zone può essere guardata come una posizione neutra: perciò la domanda di questo paragrafo può avere almeno due risposte: perché no e perché sì. È davvero una condizione esiziale e terribile sentirsi al sicuro? È saggio inoltrarsi nell'ignoto quando non si sono ancora maturate le risorse per affrontarlo in modo proficuo?

L'essere umano, anzi ogni essere vivente, ha bisogno di una base sicura per restare in vita ed evolvere. Anche l'atleta più allenato necessita di pause di recupero. E un po' come gli sportivi che mirano a migliorare le loro prestazioni, gli esseri viventi dovrebbero puntare a espandere le zone di comfort, più che cercare di fuggire da esse.

Certamente, per espandere è necessario sconfinare, cioè, superare una zona di comfort, ma con l'obiettivo di allargare, appunto, e non di scappare da essa. Quindi la prospettiva dovrebbe essere non tanto imparare a stare nello stress, quanto aumentare sempre più la capacità di agire nel comfort.

Tuttavia, bisogna anche considerare che non sempre i nostri comportamenti o schemi mentali sono funzionali. Perciò restare nella propria comfort zone potrebbe diventare quasi sinonimo di scomodità, significare la reiterazione delle disfunzionalità. Uscire dalla propria zona di comfort potrebbe allora condurre a un livello di sicurezza maggiore, passando per un processo di vulnerabilità.

Può succedere che ci si adagi nella propria comfort zone e non si miri a espanderla, fino a ritrovarsi in una zona che è soprattutto di stagnazione e passività. In questi casi non si può più godere della comodità e le prestazioni si abbassano. Diventa allora sano e saggio sforzarsi di uscire da questa comfort zone per ritrovare entusiasmo, crescita, motivazione.

Sono questi fenomeni simili, e correlati, a quelli di eustress e distress. Non esiste un solo tipo di stress ed esso non è sempre e necessariamente maligno. Una piccola dose di stress o di ansia spinge a curare meglio la preparazione a un'impresa, mantiene accesa l'attivazione muscolare o mentale e le prestazioni finali migliorano: si parla di eustress (il prefisso greco eu- indica bontà). Al contrario, una dose eccessiva di ansia può paralizzare il corpo o annebbiare la mente, inficiando imprese per le quali avremmo tutte le risorse: è il caso del distress.

In modo analogo, si può pensare che stare in una zona di comfort fino a un certo punto permette di godere di quella sicurezza; oltre un certo limite, il godimento degrada in stagnazione e insoddisfazione.

Cosa vuol dire uscire dalla zona di comfort?

È un passo che comporta un senso di disagio e di vulnerabilità, proprio perché significa lasciarsi alle spalle un posto sicuro. Uscire dalla propria comfort zone signfica accettare di apportare un cambiamento all'equilibrio che si è sostenuto fino a quel momento, quindi significa tollerare un periodo di fatica e instabilità, necessario prima di trovare un nuovo equilibrio, più ampio e solido.

Ma decidere di uscire richiede anche un esame che la tempistica sia giusta e che le risorse per lasciare un porto sicuro e per raggiungerne un altro siano sufficienti. Se questi aspetti non ci sono, è più rischioso uscire dalla zona di comfort piuttosto che rimanervi.

In modo simile, uscire dalla comfort zone vuol dire avere la curiosità di conoscere un po' di più i propri limiti, mantenendo la consapevolezza di non essere onnipotenti: andare oltre i propri limiti non porta a evolvere, bensì a crollare. Tenendo conto questo aspetto, è cosa buona saggiare le proprie potenzialità, che altrimenti resterebbero ignorate e inutilizzate.

Come uscire dalla comfort zone?

Una delle parole-chiave per uscire dalla comfort zone in modo solido e costruttivo è gradualità. Provare a cambiare in maniera drastica e improvvisa può rendere più difficile ciò che facile già non è e spesso gli esiti raggiunti non hanno carattere definitivo. Invece, procedere a piccoli passi permette di andare più lontano, stancandosi meno e consolidando le mete raggiunte. Piccole strategie per uscire dalla propria zona di comfort potrebbero essere:

  • - agire con la consapevolezza che ci siano le condizioni per cercare un cambiamento;
  • - apprendere qualche competenza o sapere nuovo;
  • - fare in modo diverso le solite attività quotidiane;
  • - procedere per modifiche parziali che, una volta sommate, porteranno a un cambiamento più generale;
  • - chiedere un supporto e un accompagnamento al cambiamento.

Un'altra condizione importante è la capacità di tollerare sensazioni ed emozioni fisiologiche quando si fa un cambiamento importante, come ad esempio:

- l'incertezza dell'ignoto;
- la paura che il nuovo potrebbe essere peggiore del vecchio;
- l'ansia per il misterioso;
- la fatica per gli sforzi necessari ad apportare modifiche.

Un terzo fattore determinante è trovare le giuste motivazioni: per esempio, volersi liberarsi della sgradevole sensazione di stagnazione oppure darsi delle nuove opportunità di crescita personale.

Perché il cambiamento fa paura?

Cambiare significa rinunciare a un equilibrio e confrontarsi con l'ignoto: non si ha rassicurazione su ciò che si troverà e il nuovo potrebbe essere peggiore del vecchio. Un equilibrio noto, per quanto disfunzionale, è prevedibile; quindi, sappiamo cosa aspettarci da ogni suo aspetto.

Un nuovo assetto, invece, costringe a confrontarci con il mistero e a fare uno sforzo di adattamento. Questo concetto trova implicazioni di ogni genere, dal semplice proporsi di ascoltare un genere musicale sconosciuto, ad assaggiare un cibo sempre evitato; dal cimentarsi in una nuova attività sportiva al frequentare persone di una qualità diversa dalle solite.

Insomma, si va dal cambiamento di piccole abitudini alla trasformazione di modelli relazionali, come può accadere grazie a una terapia psicoanalitica che lavora sul fenomeno della coazione a ripetere.

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Dr. Emanuele Visocchi - Centro Clinico SPP Milano età adulta