L'accettazione in psicologia

Non si possono scoprire nuove terre senza accettare di perdere di vista la costa per un periodo molto lungo.
André Gide

L'accettazione è un processo fondamentale per condurre una vita nella verità e poter godere di soddisfazioni. La capacità di accettare è segnale di una mente sana e di maturità emotiva, si acquisice nel tempo, con un percorso spesso doloroso ed è uno degli apprendimenti cardine che si ottengono da un'analisi ben fatta.

Perchè l'esistenza mette costantemente alla prova con perdite, ammissioni, rinunce: limiti, insomma. Non è una visione pessimistica della vita, bensì la visione della vita: ciò che è vivo muta, solo ciò che è morto smette di evolvere e cambiare, rimane fermo a se stesso, anzi a un ricordo di sé.

Cosa significa accettazione in psicologia?

Accettare significa innanzitutto prendere consapevolezza e, quindi, richiede uno sguardo critico su se stessi e sugli altri. Accettare significa accogliere una perdita e il cambiamento che ne consegue, così come il dolore per tale perdita.

Di fronte a tale argomento, di primo acchito mi è venuto da pensare ad almeno due declinazioni: l'accettazione quale fase necessaria nell'elaborazione del lutto e l'accettazione quale riflessione sul rapporto con se stessi (o con altri individui significativi per noi), in altri termini l'accettazione dell'ombra, ossia delle parti negative della persona. Ma poi, a guardare bene, si parla sempre dello stesso fenomeno. La vita è una continua elaborazione di lutti.

Probabilmente, la prima perdita che bisogna accettare è quella dell'onnipotenza dell'infanzia più tenera: il neonato prima o poi si scontra con la sgradevole scoperta che la mamma non è parte di lui, che i suoi bisogni possono non essere soddisfatti immediatamente e, addirittura, che oltre all'universo magico 'mamma-bambino' esiste anche qualcos'altro, un terzo personaggio che fa capolino come figura paterna e che si apre gradualmente fino a diventare il resto del mondo.

Poi il bambino deve imparare ad accettare che l'Altro possa avere pensieri diversi dai suoi, oppure i 'no' genitoriali che frenano le sue richieste immediate. Questa età, che così descritta sembra un inferno, più tardi diviene oggetto di nuova accettazione: crescendo, aumentando le responsabilità, è fondamentale accettare la perdita dell'era mitica dell'infanzia, con le sue illusioni e la sua leggerezza. Insieme a questo lavoro, si apre il fronte opposto: accettare di invecchiare, di ammalarsi, di aver bisogno.

Nel mezzo, innumerevoli altre richieste di accettazione si presenteranno: bisognerà accettare di non coincidere con il proprio ideale, si dovrà accettare di non avere tutto il talento per diventare un calciatore di serie A, di non avere quei dieci centimetri in più per lavorare nella moda, di non avere l'estro per affermarsi come artisti.

E così via, senza dimenticare quei lutti che riguardano il legame con l'Altro: accettare che chi ci sta accanto non combacerà con le nostre aspettative, ma potrà solo avvicinarsi, esserne una copia manchevole; accettare che a un certo punto i genitori non saranno più forti e giovani come un tempo e richiederanno il supporto dei figli; accettare di dover abbandonare la propria terra, per la ricerca di lavoro o la fuga dalla guerra; di vedere sfiorire un amore in cui si proiettava il futuro o scoprire che la coppia non può generare prole; di veder morire una persona amata.

Si può proseguire l'elenco delle ipotesi all'infinito, annoverando anche le perdite più piccole e quotidiane, ma già così si comprende che l'accettazione è un processo di adattamento funzionale alla vita.

Qual è il contrario di accettazione?

Se l'accettazione è presa di consapevolezza, i meccanismi opposti sono l'evitamento, la negazione, il rifiuto di guardare come stanno veramente le cose e il rimanere nell'illusione, nella falsità. Il contrario dell'accettazione è la rassegnazione o una posizione di passività di fronte agli eventi ineluttabili. Questi meccanismi, che mirano a rifuggire il dolore, sono efficaci solo in apparenza o temporaneamente e, a seconda dell'uso più o meno massiccio e pervasivo, possono condurre a gestioni disadattive fino a lambire dimensioni patologiche dell'esistenza.

Se essi interessano solo le doti sportive insufficienti per la massima serie, la persona può abbandonare rabbiosamente il calcio, precludendosi anche il divertimento del calcetto tra amici una volta a settimana; se la difficoltà ad accettare la situazione riguarda una diagnosi, il paziente può eludere le cure, peggiorando la salute anche in modo irreparabile; se l'intera realtà è inaccettabile alla mente di un individuo, si può addirittura giungere alla creazione di un mondo interno alternativo: è il delirio schizofrenico.

Perché bisogna accettarsi?

L'accettazione è uno step necessario per passare dal miraggio dell'ideale alla natura limitata delle cose del mondo, così da vivere una vita percepita e non allucinata; per spostarsi da una condizione di passività a una di attivazione, così da far fronte al cambiamento sopravvenuto. Solo se si accetta una mancanza ci si può attivare per colmarla in qualche modo. Solo se si prende consapevolezza del mutamento di una situazione si possono riorientare gli sforzi, reindirizzare gli obiettivi e ottimizzare le risorse.

Per questo l'accettazione è il contrario della resa o dell'immobilismo, che è alimentato dall'illusione che un cambiamento non c'è stato, che nulla è venuto a mancare, fino al momento in cui la realtà reclamerà il prezzo: una sua imposizione brutale oppure il ritiro in un patologico e illusorio non-reale.

Come si pratica l'accettazione?

L'accettazione è un processo che si impara facendo esperienza della vita e coltivando alcune capacità psichiche ed emotive. Come abbiamo visto, la vita offre proposte di accettazione quotidiane, anzi le impone, poiché non possiamo scegliere se averne a che fare o meno; possiamo solo "scegliere" se provare ad accettarle affrontandole oppure se rifuggirle. Scegliere il confronto richiede coraggio e alcune doti, come la capacità di adattarsi a scenari e a condizioni nuovi; come la tolleranza alla frustrazione; come la gestione di emozioni intense.

Di solito, una perdita (di una persona, di una concezione, di una sicurezza, di un ideale) provoca ansia, rabbia e tristezza. Esse sono emozioni negative, ma saperle "usare" le rende utili: per esempio, l'ansia non soverchiante fa rallentare e rende cauti, facendo guadagnare tempo prezioso per elaborare; la rabbia inizialmente fortifica, aiutando a distaccarsi o a perdere con minor sofferenza e con un abbozzo di senso; la tristezza, infine, induce a un atteggiamento più intimista e di chiusura, col quale si possono scoprire aspetti di sé inediti, funzionali, arricchenti.

Come ci si accetta?

Esistono dei modelli che mirano a spiegare come avviene l'accettazione, espandendo il fenomeno e declinandolo in vari passaggi. Un esempio articolato e sviluppato sul campo dell';osservazione clinica è stato proposto da Elisabeth Kübler Ross, che per anni si è occupata di comprendere e accompagnare pazienti terminali, dal momento della comunicazione di una diagnosi infausta agli stadi finali della loro esistenza. Kübler Ross ha individuato cinque stadi, non necessariamente separati e scanditi in ordine cronologico e non completabili da tutte le persone nel loro sforzo di accettazione.

  • - di solito, la prima reazione è di rifiuto della comunicazione e di negazione di quella realtà che cala loro addosso in modo violento e inaspettato. Un individuo tende a non credere, a non fidarsi, a minimizzare nel tentativo di tenere a bada l'angoscia. Pensieri tipici di questa fase sono "non può essere vero", "non può accadere a me";
  • - dopo un primo momento di negazione, oppure subito in prima battuta, c'è il tempo della rabbia: quando può concedersi una vaga consapevolezza della notizia o dell'accadimento, l'individuo si sente investito da emozioni intense di rabbia e paura. I pensieri di questo periodo sono declinazioni del "perché proprio a me?";
  • - non è raro anche un movimento di contrattazione o patteggiamento con la realtà o con l'evento infausto, con atteggiamenti più o meno realistici, ma è comunque il momento in cui la persona sente di poter riprendere, almeno in parte, il controllo della sua vita dopo esserselo sentito strappato e prova a capire come può migliorare la sua condizione;
  • - uno stadio avanzato dell'elaborazione è quello depressivo, perché intanto è avanzato anche l'evento infausto. L'individuo ha sempre più consapevolezza della perdita che gli è occorsa o che gli occorrerà; perciò, i vissuti emotivi dominanti sono di sconfitta e di tristezza;
  • - l'ultima fase del lavoro è l'accettazione vera e propria di quanto è avvenuto o sta avvenendo nella sua vita. Questa fase non è priva di sofferenza, d'altronde non si tratta di una fuga in un delirio di salute o di completezza, ma tutto lo spettro emotivo vissuto negli stadi precedenti risulta ora attenuato. È il momento che permette di agire: sistemare le ultime volontà prima di lasciarsi andare; oppure cicatrizzare una ferita relazionale che, fino a quel momento, sembrava dover rimanere aperta per sempre; o, ancora, riprendere le partitelle tra amici, anche se le velleità atletiche dovranno rimanere sogni.

Come si impara ad accettare?

L'accettazione è un processo stimolato dalle esperienze della vita, che mette costantemente a confronto con rinunce e spinte alla crescita, ma un buon conseguimento di tale processo non è scontato. Una terapia psicoanalitica favorisce lo sviluppo della capacità di accettare gli eventi e i cambiamenti innanzitutto perché pone l'individuo all'interno di una dimensione dialogica con se stesso, condizione fondamentale per incrementare l'autoconsapevolezza.

Inoltre, l'orientamento psicoanalitico mette l'analizzando in un costante confronto con la realtà, senza scorciatoie, senza accomodamenti, senza colludere con le illusioni o la negazione: se l'evitamento della verità ha indotto sintomi e sofferenza, guardarla in faccia permetterà di prenderne consapevolezza, di accettarla e di agire in modo da godere di soddisfazioni plausibili e non, invece, dell'inganno dei sotterfugi.

Una terapia psicoanalitica aiuta anche a ridefinire i sistemi valoriali della persona in modo da fortificarla per resistere meglio a perdite, paure e fallimenti e per consentirle di abbracciare la vera natura umana: fatta di limiti che frenano e impediscono, proteggono e sono risorsa. Perchè la vera sofferenza psichica non nasce tanto dagli accadimenti avversi, quanto dalla scarsa capacità di accettarli e adeguarsi al cambiamento implicato.

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Dr. Emanuele Visocchi - Centro Clinico SPP Milano età adulta