Disturbo Esplosivo Intermittente: quando la rabbia è fuori controllo

Il Disturbo Esplosivo Intermittente (IED) è caratterizzato da inaspettati scoppi di rabbia che si presentano in maniera improvvisa e imprevedibile con discreta ricorrenza, contraddistinti da un’intensa aggressività verbale o fisica sempre eccessiva rispetto alla situazione contingente. 

Tale disturbo rappresenta una categoria nosografica specifica, ovvero all’interno del DSM-5, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali utilizzato dagli psicologi e dagli psichiatri per diagnosticare e classificare i disturbi mentali, esso è identificato come una forma di psicopatologia e dunque associato ad un codice identificativo: DSM-5: 312.34 (corrispettivo ICD-10: F63.81).

Come si manifesta il Disturbo Esplosivo Intermittente?


I principali criteri che devono essere soddisfatti per porre la diagnosi di Disturbo Esplosivo Intermittente sono: 

  • - accessi comportamentali ricorrenti che rappresentano l’incapacità di controllare gli impulsi aggressivi;
  • - l’aggressione può essere verbale o fisica, con o senza conseguenti lesioni a persone o animali o distruzione e danneggiamento di proprietà;
  • - gli episodi devono verificarsi in media due volte alla settimana per almeno tre mesi;
  • - il grado di aggressività espresso è esagerato rispetto al fattore scatenante;
  • - le esplosioni di aggressività non sono premeditate e non hanno obiettivi finali specifici.

Il disturbo crea un disagio marcato nell’individuo o compromette il suo funzionamento quotidiano e non può essere diagnosticato prima dei sei anni. È importante sottolineare come gli accessi comportamentali sono puntuali e rappresentano reazioni eccessive con perdita del controllo davanti a provocazioni interpersonali o di fronte a fattori psicosociali stressanti, passati i quali, il tono dell’umore torna entro i livelli di adeguatezza sociale.

Occorre prestare attenzione perché i sintomi sono facilmente confondibili con il Disturbo da disregolazione dell’umore dirompente (DSM-5: 296.99; ICD-10: F34.8) in cui il tono dell’umore è persistentemente irritabile o arrabbiato, per la maggior parte della giornata.

Le persone che soffrono del Disturbo Esplosivo Intermittente descrivono gli episodi come acuti e circoscritti attacchi di collera in cui una sensazione di tensione ed eccitazione giunge al culmine e viene scaricata attraverso una modalità comportamentale esplosiva e disregolata, cui segue un senso di sollievo e gratificazione. A questa temporanea sensazione, tuttavia, possono seguire vissuti di colpa, disistima e imbarazzo per quanto fatto o detto. Infatti, questo disturbo può causare intenso disagio psicologico andando a ledere l’immagine del proprio sé e a compromettere le relazioni.

Quali conseguenze e come gestirle?

Le modalità dirompenti e improvvise che caratterizzano il disturbo possono avere ripercussioni nei rapporti con l’altro, a tutte le età in cui si manifesta. Durante l’età scolare, fascia d’età in cui è registrata la maggiore incidenza dei casi, l’incapacità di tollerare la rabbia e la sua espressione alterata possono portare alla compromissione dei legami di amicizia fino all’esclusione dal gruppo dei coetanei.

Quando manca l’importante ruolo che normalmente svolgerebbero i pari nel sostenere il bambino nei tentativi di separazione-individuazione e l’adolescente nell’uscita dal nucleo familiare, si può correre il rischio che venga compromesso il progredire di un sano sviluppo psicologico. Infatti, il poter instaurare relazioni positive con i coetanei durante questa età, permette l’ingresso nelle fasi dello sviluppo successive: l’adolescente acquisisce maggior sicurezza e può progressivamente investire sempre più in nuovi oggetti esterni alla famiglia. Il gruppo diventa il punto di riferimento entro il quale riconoscersi e assume il valore di una “nuova famiglia” che dà appoggio e sostegno all’identità ancora fragile e in crescita.

Inoltre, gli accessi di rabbia possono essere di faticosa gestione non solo per il giovane che li sperimenta ma anche per il genitore. L’imprevedibilità delle reazioni dirompenti e il loro faticoso contenimento, talvolta le crisi durano fino a trenta minuti, possono essere esperite dalle figure genitoriali come segno di incapacità e dunque generare disistima e sfiducia nelle proprie competenze genitoriali. Tale frustrazione può sollecitare il ripetersi di liti e castighi anche frustranti per il bambino che possono portare a nuovi accessi di aggressività. Si viene così a costituire un circolo ripetitivo complesso ed articolato.

Adottare rigidi rimproveri o severi rimandi talvolta minimizzanti gli sforzi messi in atto per contenersi, possono (involontariamente) rimandare al figlio un’immagine di sé come di bambino cattivo, incapace e irrispettoso. Il rischio è che una volta assunto all’interno della famiglia il ruolo di “figlio sregolato”, si identifichi in esso e non riesca più a sottrarvisi in quanto la propria identità ormai si è strutturata sulla base di questi rispecchiamenti.

I processi di identificazione, nei differenti livelli di sviluppo, sono basilari per la strutturazione dello psichismo dell’individuo, costituiscono le basi dell’identità e del senso di Sé, partecipano alla formazione del carattere e dunque portano alla costruzione dell’Io. Se non adeguatamente compreso e trattato, il disturbo può restare come modalità reattiva disfunzionale anche in età adulta con notevoli ripercussioni sul piano interpersonale a livello familiare, amicale, di coppia e anche sul posto di lavoro. Talvolta può portare anche a problemi finanziari, legali e penali.

Da dove origina il Disturbo Esplosivo Intermittente?

Il disturbo si manifesta solitamente per la prima volta nell’infanzia, talvolta nell’adolescenza con un decorso variabile e raramente l’esordio avviene dopo i vent’anni. Il linguaggio e l’espressione del sé, la fiducia nelle proprie abilità, la strutturazione delle reti neurali che sostengono alcune funzioni neuropsicologiche come le funzioni esecutive e le funzioni motorie, sono capacità che crescono rapidamente nei bambini e concorrono allo sviluppo della regolazione emotiva e comportamentale. Tuttavia, alcuni bambini faticano a sviluppare tale capacità regolatoria, perché?

Considerare l’eccesso emotivo, ovvero l’esplosione di collera, come il nucleo centrale del Disturbo Emotivo Intermittente, permette di spostare il focus d’osservazione e consente di mettere in luce l’importanza d’intervenire sulla componente emotiva prima che sui comportamenti conseguenti. La qualità dell’ambiente di crescita e primariamente le interazioni madre-bambino, risultano determinanti per la strutturazione della vita psichica del soggetto e per le sue successive vicende evolutive.

Attraverso lo scambio con la madre, le cui interazioni sono inizialmente connesse al momento dell’allattamento, prendono vita sentimenti di soddisfazione, gratificazione, accoglimento e sostegno ma anche frustrazione, angoscia e paura. Questi anche se non sono ovviamente consapevolizzati, costituiscono la base di apprendimento e risposta a determinati stimoli della vita relazionale.

In tal senso risulta di centrale importanza il concetto di rêverie rivisto dal noto psicoanalista Wilfred Bion nel 1962. Secondo l’autore, la madre identificandosi (identificazione proiettiva) con le esperienze vissute dal neonato che entra a contatto con il mondo, ovvero con le angosce sollecitate dalla frustrazione del rapporto con il seno materno, riceve inconsciamente le sue esperienze emotive e sensoriali, le rielabora e contiene (funzione alfa) e le restituisce in una forma (elementi beta) che per la psiche del neonato sono ora pensabili, assimilabili e dunque meno terrifiche.

Per esempio, un neonato risponde ad un nuovo stimolo come pericoloso e dunque spaventato o come sicuro, sulla base delle reazioni materne trasmesse attraverso il corpo, lo sguardo e la voce. La madre all’inizio è “la chiave di interpretazione del mondo” e le sue modalità diventeranno quelle adottate dal figlio. Infatti, quando il bambino sperimenta una madre sufficientemente buona, introietta un oggetto (la rappresentazione simbolica della madre ovvero anche la sua modalità e capacità di risposta e contenimento di uno stimolo) in grado di accogliere e comprendere, con il quale si identifica. Nel tempo poi svilupperà una propria capacità psichica in grado di contenere ed elaborare.

Si pongono così le basi per lo sviluppo della capacità di elaborazione, controllo e autocontenimento. Qualora il neonato facesse esperienza di una rêverie materna carente, rischierebbe di non sviluppare dentro di sé questa capacità di contenimento e accoglimento fondamentale per elaborare, integrare e poi interagire con gli stimoli esterni e pulsioni interne che animano il suo apparato mentale e relazionale.

Il ruolo genitoriale può essere considerato anche osservando in maniera più ampia le dinamiche che avvengono nell’intero nucleo familiare. Ovvero numerosi studi indicano come l’essere cresciuti in famiglie dove l’aggressività era espressa in modo distruttivo e diretto o non congruo e disorganizzato, senza controllo degli impulsi, rende più probabile che i bambini sviluppino crescendo le medesime modalità relazionali e di espressione emotiva vissute in casa.

Infatti, attraverso le prime esperienze relazionali con le figure di attaccamento si pongono le basi per la strutturazione di un legame di attaccamento che resterà come modello inconsapevole dei successivi e allargati rapporti interpersonali.

La rabbia è sempre negativa?

Darwin nel 1872 in L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali definì le emozioni come innate, universali e strettamente associate alla sopravvivenza della specie e dell'individuo. Dopo di lui numerosi autori studiarono le emozioni, la loro origine e modalità di espressione. Tutti concordano, in termini evolutivi, nel fatto che le emozioni svolgono una funzione di predisporre l’organismo ad affrontare, psicologicamente e fisicamente, uno stimolo rendendo la sua risposta immediata ai fini della sopravvivenza.

Anche l’American Psychological Association (APA) definisce le emozioni come «stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche dovute a stimoli interni ed esterni», volte a fronteggiare fenomeni o eventi con il quale un organismo entra costantemente in relazione significativa.

Tra le diverse emozioni definite come fondamentali, primarie o di base, ovvero innate, ritroviamo anche la rabbia. Durante la crescita emergono emozioni più complesse e articolate che consentono al bambino di comprendere la differenza tra il mondo interno ed esterno, oltre che a conoscere meglio se stesso. Dopo i sei anni dovrebbe aver imparato a controllare le emozioni, manipolando la propria espressività sulla base delle richieste ed aspettative sociali.

Si comprende dunque come la rabbia, tra le altre, non sia un’emozione negativa bensì positiva, fisiologica ed evolutivamente importante. Il distinguo non viene fatto sulla qualità dell’emozione ma sulla quantità, ovvero sul quantitativo di rabbia provato in relazione allo stimolo e sulla modalità di espressione. La società in cui viviamo si pone con ambivalenza nei confronti di questa emozione obbligando noi stessi a porci in una posizione talvolta oscillante tra libera espressione e vergogna-inibizione.

Ovviamente quel tipo di manifestazione di rabbia tipica del Disturbo Esplosivo Intermittente, in quanto appunto sua massima espressione sintomatica, non è sana, evolutivamente immatura, fonte di disagio e non funzionale alla vita quotidiana. Tuttavia, il delicato compito del genitore è quello di non fare un distinguo tra emozioni buone da valorizzare ed emozioni cattive da punire. I bambini e poi gli adulti che diverranno, rischiano confusivamente di imparare che la rabbia vada sempre inibita e tenuta il più possibile lontana.

Alcuni giovanissimi pazienti in seduta commentano «quando mi arrabbio sono brutta» oppure «vengo qua perché sono cattivo perché mi arrabbio spesso … non so perché», o ancora «tanto lo so, mi dicono che sono antipatica e viziata … è strano che prenda un complimento perché faccio cose strane: di colpo mi arrabbio tantissimo e non mi fermo» e infine «mi arrabbio e piango quando mi mettono in castigo ma mica lo faccio apposta io! Anche i miei compagni ridono … non sono brava». È importante accogliere e valorizzare anche la rabbia per evitare che questa possa svilupparsi nel tempo in diversi comportamenti disfunzionali più ampi e più gravi.

Come intervenire?

Il modo più utile per aiutare una persona che sperimenta disagio acuto nel controllo degli impulsi aggressivi o qualora si ravvisassero sintomi riferibili ad un quadro di Disturbo Esplosivo Intermittente, è quello di rivolgersi ad uno psicoterapeuta. La psicoterapia ad indirizzo psicodinamico offre aiuto, con specifiche declinazioni, sia agli adulti che ai giovani pazienti e ai loro genitori, interessandosi da sempre ai cambiamenti che avvengono nel singolo individuo in ogni fase evolutiva, a seguito delle modalità e qualità delle relazioni in cui è immerso.

Lo specialista potrà non solo effettuare una corretta analisi e valutazione psicodiagnostica ma anche fornire uno spazio e un tempo di accoglimento e comprensione. Occorre infatti considerare che anche qualora non siano soddisfatti pienamente i criteri necessari per porre una specifica diagnosi, vi possa essere comunque il bisogno di cura e trattamento.

Infatti, l’ascolto terapeutico aiuta ad integrare e superare le difficoltà che creano disagio offrendo la possibilità di indagare la propria psiche e il proprio funzionamento fornendo quegli strumenti utili per migliorare la qualità di vita.

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Dr.ssa Berenice Merlini - Centro Clinico SPP Milano età adulta