Primo colloquio psicologico: come funziona?

Mi racconti, per favore, ciò che Lei sa di sé. (S. Freud, 1913)

Spesso, quando si fantastica sull'intraprendere una psicoterapia ci si proietta mentalmente già in una seduta, in qualche punto indefinito e immaginato del lavoro; ma è quando si comincia a ragionare più concretamente che i vari step prendono forma e il primo che appare, e che può suscitare qualche perplessità, è il primo colloquio.

Il primo colloquio psicologico è un contatto che avviene tra un candidato paziente e uno psicoterapeuta. La sua finalità è valutare se la persona che va in consultazione debba intraprendere un trattamento psicoanalitico; perciò, il colloquio può finire anche con il suggerimento verso un altro tipo di psicoterapia o un invio psichiatrico per una valutazione farmacologica.

Quindi, gli obiettivi del primo colloquio psicologico e quelli della psicoterapia sono differenti: in un caso si orienta il candidato verso un'attività terapeutica, nell'altro si realizza l'attività indicata.

Il colloquio quale momento di incontro

Il primo colloquio psicologico è un momento fondamentale per un'eventuale psicoterapia. In esso, paziente e psicoterapeuta finalmente si incontrano e fantasie e aspettative che l'uno si era fatto dell'altro si confrontano con il reale.

Questa prima esperienza di condivisione può gettare le basi per un rapporto terapeutico e, talvolta, può già apportare un beneficio al candidato, mentre al terapeuta accorto può dare l'idea di come potrà essere la futura psicoterapia.

Il colloquio è fatto di parole, ma anche della relazione che candidato e terapeuta costruiscono insieme: esso, nel suo divenire, è quindi dimensione di incontro tra il lavoro cognitivo e il lavoro emotivo di queste due persone.

Primo colloquio: che ansia...

Un primo colloquio psicologico è sicuramente un contesto ansiogeno: il candidato deve raccontarsi a un estraneo, cui porta una sofferenza intensa ma spesso invisibile, un dolore soggettivo che teme non possa essere condiviso. Non sa quali domande gli verranno fatte, non sa neppure se gliene verranno poste.

Ma l'ansia non è da condannare: durante il primo colloquio, una certa quota di ansia è fisiologica e giusta. Se manca o è troppo poca, il paziente perde autenticità nell'esprimere i suoi problemi; se è eccessiva, la comunicazione si svolge in maniera disorganizzata.

A cosa serve il primo colloquio psicologico

Spesso, chi chiede una psicoterapia porta come primo punto un problema concreto: la persona arriva, lamenta un sintomo e chiede un aiuto, una risoluzione immediata. Ma il primo colloquio non è fatto per dare sollievo, né consigli; bensì, serve a capire qual è il funzionamento del candidato, che tipo di persona è, come tratta il mondo, le relazioni, gli elementi del suo universo interiore. Il primo interesse dello psicoterapeuta è capire chi è il candidato.

Per questo, dopo aver lasciato spazio per esprimere il motivo esplicito (e più superficiale) che porta il candidato in quella stanza, è utile che questi parli di sé e delle sue relazioni importanti così che il professionista capisca come si rapporta e come si rappresenta se stesso e gli altri. D'altronde, il termine 'sintomo' è un derivato dal greco συμπιπτω, sympipto, e indica un'evenienza che accade con qualcos'altro: facilitare la libera espressione dei processi mentali, darsi tempo e spazio per sondare il perché qui e il perché ora, tollerare la sospensione da decisioni frettolose e da azioni, sono le dimensioni attraverso le quali, già nel primo colloquio psicologico, è possibile scorgere quel qualcos'altro.

Il primo colloquio non dev'essere né un'intervista condotta dal terapeuta, né un monologo recitato dal candidato. E' probabile che delle domande vengano fatte, ma sono perlopiù degli inviti al candidato a riflettere su cosa si attende da un'eventuale psicoterapia o su quali aspetti di sé sente di volere e potere cambiare. Risulterebbe più sgradevole, e neppure molto efficace, confrontarsi su una lista di domande, come se il terapeuta fosse un intervistatore e il candidato un intervistato; così come si perderebbero la spontaneità e le informazioni più utili se chi chiede l'incontro si presentasse con un quadro di sé preconfezionato.

Invece, il ritratto di una persona si dipinge in modo più ricco se il racconto fluisce, se l'anamnesi viene co- costruita insieme e senza seguire uno schema rigido o una scaletta preimpostata. D'altronde, il colloquio (composto dal latino di con- e -loqui) è un "parlare insieme": la condizione migliore per raccogliere dati relazionali. La grande differenza tra questionario e colloquio è che il primo mira semplicemente a raccogliere informazioni, mentre nel secondo si cerca di conoscere come funziona una persona e non come dice di funzionare.

I fattori da valutare nel primo colloquio psicologico

Il primo colloquio psicologico è utile perché il terapeuta si faccia un'ipotesi diagnostica della persona che gli siede di fronte; perciò, questo primo incontro introduce alla diagnosi, perché è fondamentale averne un'idea, ma la sua ricerca non deve far perdere di vista l'importanza della relazione che si costruisce in quei momenti.

La psicoanalisi è, innanzitutto, una teoria della personalità e questa deve avere, quindi, il peso maggiore nella valutazione per accedervi. Già Freud indicava, tra i fattori da considerare nei candidati, la presenza di un certo grado di istruzione e di intelligenza, un carattere che dia sufficiente affidamento e un buon sviluppo etico. L'istruzione non è il titolo di studio, ma una certa conoscenza delle cose del mondo, una curiosità - la naturale intelligenza - a capire come esse funzionino, psiche compresa. Un'intelligenza colta è anche strumento necessario per la piena comprensione delle interpretazioni psicoanalitiche.

Un secondo fattore da valutare, la cui emersione deve essere favorita fin dal primo colloquio, è la qualità con cui il candidato si rapporta con gli altri, siano essi persone del reale oppure personaggi del suo teatro interiore.

Un terzo criterio fondamentale per discriminare tra l'opportunità di un approccio analitico vero e proprio, l'indicazione di una psicoterapia supportiva-espressiva a diversi gradi, fino alla decisione di non analizzabilità, è la presenza di mentalizzazione, ovvero quella capacità immaginativa necessaria per interpretare i comportamenti propri e altrui come prodotti di stati mentali. E', insomma, la capacità di pensare il pensiero, preziosissima in psicoanalisi.

Il primo colloquio psicologico è anche l'occasione per farsi un'idea dell'ambiente sociale nel quale il candidato si muove: se vive in totale solitudine, oppure in un contesto capace di fornire risorse, o ancora se in un nucleo sociale ostile alla sua terapia.

Anche l'età può essere un fattore decisionale. Ma se Freud riteneva che già ai cinquantenni mancasse la plasticità neurale necessaria per dare un senso a tutti gli sforzi richiesti da un'analisi e che una persona di mezza età avesse una tale quantità di materiale da costringere a un lavoro infinito, col tempo si è riconosciuta maggiore elasticità al cervello umano e che essa non dipende esclusivamente dall'età. Inoltre il materiale accumulatosi negli anni non è più considerato un problema: gli avvenimenti decisivi accadono nell'età infantile, per poi eventualmente ripetersi nella vita adulta degli individui declinandosi in vari modi - non ultima, la relazione con il terapeuta.

L'età cronologica del candidato, quindi, è un fattore da considerare, ma ha importanza solo se inserito in una costellazione di parametri, in un contesto più ampio. Durante il primo colloquio psicologico, quindi, si devono cogliere indizi su una quantità di fattori, ma con la consapevolezza che nessuno di essi, da solo, è determinante. L'indicazione all'analisi, o ad alternative, deve avvenire solo dopo un'attenta valutazione di tutti gli elementi.

Quale motivazione cercare

Il fattore più decisivo di tutti è la motivazione all'analisi. Come abbiamo già visto, oggigiorno le persone si presentano allo psicoanalista lamentando un problema, una sofferenza, un sintomo. Ma la motivazione è altra cosa: non è il desiderio di guarigione, bensì di conoscere se stessi e capire i perché di quel sintomo.

Il sollievo dal sintomo, da solo, è una motivazione debole, insufficiente a reggere l'impegno richiesto: per affrontare una psicoanalisi, deve esserci il desiderio di cambiare il proprio destino.

Quanti colloqui si fanno?

Finora, per semplicità, si è parlato di primo colloquio psicologico. In realtà, è usanza diffusa fare più colloqui e molti sono gli autori a sostenerne l'opportunità. Fare due o tre colloqui di valutazione iniziale permette di vedere come il paziente e l'analista vivano la separazione e il nuovo incontro; consente pure di fare utili previsioni, osservando l'evoluzione di quei primi contatti. E' lecito aspettarsi che sia il paziente sia lo psicoterapeuta cambino propensione da un colloquio all'altro, come può cambiare in seconda battuta l'affetto suscitato dalla prima impressione.

Se desiderassi contattarmi per una seduta di primo colloquio, vai alla sezione "Contatti" e scrivi il tuo messaggio.

Dr. Emanuele Visocchi - Centro Clinico SPP Milano età adulta