Cos’è la depersonalizzazione? Cause, sintomi e cura

La depersonalizzazione può essere definita come un cambiamento peculiare nella coscienza di sé, nel corso del quale la persona ha la sensazione di essere irreale e/o estraneo a se stesso. Ad esempio, mentre parla si rende conto, ascoltandosi e osservandosi, che lo sta facendo come se fosse un automa.

È importante precisare da subito che la depersonalizzazione non è sempre e soltanto il sintomo che porta alla luce una condizione patologica, può essere anche un'esperienza comune che accompagna ognuno di noi quando ci troviamo a sperimentare dei momenti particolari della nostra vita, quali:

  • - emozioni intense;
  • - crisi esistenziali;
  • - affaticamento e stress intenso;
  • - deprivazione prolungata di sonno;
  • - deprivazione sensoriale;
  • - situazioni che comportano un pericolo di morte, come incidenti e malattie gravi.

Ora però concentreremo la nostra attenzione sulla depersonalizzazione intesa come una condizione che si presenta come patologica e che quindi necessita di essere curata.

Cosa provoca la depersonalizzazione? Come si può capire se si soffre di depersonalizzazione?

La depersonalizzazione è una condizione, sempre soggettiva, che provoca la perdita, da parte della persona, del sentimento di familiarità per se stessa (depersonalizzazione autopsichica) o per il proprio corpo (depersonalizzazione somatopsichica).

Il paziente sperimenta dei vissuti sgradevoli di irrealtà, stranezza, cambiamento percettivo e corporeo, e li racconta “come se” si trattasse di qualcosa di reale, non come se fossero una realtà indiscutibile e inaccessibile alla critica. Può capitare che si descriva come un pupazzo vuoto, distaccato e non coinvolto nell'esistenza, oppure come un fantasma evanescente.

Pur riferendo questi vissuti “come se fossero” reali, la persona riesce a mantenere nei loro confronti un certo distacco critico che permette al clinico di distinguerli dai deliri. In questi ultimi, invece, il paziente riferisce che i suoi vissuti “sono così” e non “come se fossero così”, poiché le strane sensazioni che percepisce diventano per lui una realtà certa. Ed è proprio tale convinzione assoluta che caratterizza le psicosi gravi.

Nella descrizione dei sintomi che accompagnano la depersonalizzazione, vediamo che possono essere coinvolte differenti qualità della coscienza di sé e qualsiasi attività mentale, sempre con il carattere del “come se”; per cui si può manifestare:

  • - ottundimento emotivo ossia un’emotività alterata;
  • alterazioni nelle esperienze: corporea, visiva, uditiva, tattile, gustativa e olfattiva;
  • - perdita del senso di autoreferenza delle proprie azioni ossia di ciò che si fa;
  • - distorsioni dell'esperienza temporale perché l’ottundimento emotivo fa perdere la nozione del tempo e del suo fluire per cui il tempo passa più velocemente oppure non passa mai;
  • - alterazioni nell'esperienza soggettiva della memoria;
  • - sentimenti di vacuità del pensiero che appare vuoto e senza significato;
  • - sentimento soggettivo di incapacità ad evocare le immagini mentali;
  • - aumentata auto-osservazione con cui la persona crede che l’alterazione riguardi tutta la sua persona quindi si osserva in modo stupito.

Capita spesso che il soggetto che soffre di questo disturbo incontri delle difficoltà a descriverlo o addirittura abbia timore di parlarne ed essere considerato “pazzo”. Ciò determina una sensazione preminente di perdita della stima di sé che, a sua volta, ha delle implicazioni a livello di riduzione notevole nella capacità di mantenere e costruire i rapporti interpersonali visto che l’auto-osservazione causa una maggiore concentrazione su sé stessi. Il paziente non soltanto si sente irreale, ma anche distaccato, come se percepisse una barriera tra lui e le altre persone.

Chi soffre di depersonalizzazione?

La depersonalizzazione è poco comune come disturbo singolo, si verifica, più spesso, come sintomo nel contesto di svariati quadri clinici, tra cui rientrano:

  • - gli altri disturbi dissociativi;
  • - i disturbi depressivi in cui il cuore del disturbo è la perdita di interesse per la vita e il distacco dalla realtà;
  • - l’agorafobia e l’ipocondria;
  • - i disturbi d’ansia post-traumatici;
  • - la nevrosi ossessiva;
  • - la schizofrenia;
  • - il disturbo da attacchi di panico;
  • - le intossicazioni da sostanze esogene;
  • - le sindromi di astinenza da alcol o da altre sostanze.

Inoltre, frequentemente, la depersonalizzazione è associata alla derealizzazione con la fondamentale differenza che la derealizzazione è un cambiamento analogo nella consapevolezza del mondo esterno; questo sintomo lo analizzeremo comunque meglio in un prossimo articolo.

Dal punto di vista psicodinamico la depersonalizzazione è considerata come una difesa che viene messa in atto nei confronti di un pericolo esterno o di una spinta pulsionale interna. La scissione tra un Sé che osserva e un Sé che è coinvolto in una situazione di pericolo può infatti permettere di controllare l’angoscia che si sta sperimentando, allo stesso modo in cui permette la negazione di una parte indesiderabile del proprio Sé.

Quanto può durare la depersonalizzazione?

Spesso la depersonalizzazione si verifica in forma di attacchi che possono avere una durata variabile da qualche minuto a poche ore, mesi o anni, e un’intensità che oscilla tra alta e bassa, ma che, se il disturbo è grave, può rimanere costante per anni.

L’esordio può essere insidioso e spesso avviene senza cause iniziali conosciute; a volte, invece, l’esordio si presenta come la risposta ad una specifica situazione. Per questo la depersonalizzazione viene definita situazionale, sia nella sua causa originale, sia nella sua ripetizione. Le situazioni più comuni sono i momenti di grande stress oppure i traumi violenti.

Cosa fare in caso di depersonalizzazione? Come guarire?

Per comprendere in modo funzionale il corretto percorso di cura da proporre al paziente, è importante effettuare una dettagliata valutazione medica e psicologica del suo quadro clinico. In alcuni casi è necessario, prima di tutto, procedere con l’esecuzione di specifici esami diagnostici o test psicologici che permettano di escludere alcune patologie organiche capaci di causare il sintomo di depersonalizzazione.

L’ipotesi diagnostica viene poi costruita dallo psicoterapeuta sulla base della storia personale del paziente e della sintomatologia da lui descritta. Le due circostanze che comunque assumono un loro importante per poter parlare di depersonalizzazione sono la consapevolezza mantenuta dal paziente circa l’irrealtà delle sue esperienze dissociative e l’angoscia da lui sperimentata per il sintomo incomprensibile che sta vivendo.

La psicoterapia ad indirizzo psicoanalitico può aiutare il paziente sia a elaborare il ricordo traumatico da cui sente di doversi distaccare, sia a identificare i fattori scatenanti e il loro significato, al fine di comprendere le dinamiche sottostanti i sintomi di depersonalizzazione. Il prendersi cura dell’intera persona è ciò che fa sì che, nel corso della psicoterapia, tali sintomi si risolvano progressivamente.

Se però il disturbo di depersonalizzazione è associato o scatenato da altri quadri clinici (come una forte ansia oppure un profondo stato o vissuto depressivo), potrebbe essere necessario, all’inizio del percorso psicoterapeutico basato sulla parola, fare ricorso anche ad uno specifico trattamento farmacologico. Ciò per evitare che il malessere raggiunga un livello tale da compromettere il regolare svolgimento delle attività quotidiane e lavorative del paziente.

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Dr.ssa Donatella Rattini - Centro Clinico SPP Milano dell’età adulta