Psicoanalisi e violenza sulle donne

Uomini che esercitano violenza sulle donne: una lettura psicoanalitica

Premessa

In passato e storicamente la violenza sulle donne, non pare mai aver costituito un serio problema. Fino a quando, infatti, la società ha considerato le donne come oggetto di proprietà e ha tollerato, se non incentivato, il predominio maschile, la violenza familiare (eccetto nelle sue manifestazioni più estreme, come il cosiddetto femminicidio) è stata tollerata ed ammessa.

Le modalità in cui i cambiamenti sociali hanno portato ad una giusta criminalizzazione della violenza contro le donne, è una questione, che esula dagli scopi di questo articolo. E’, tuttavia, certo che le relazioni affettive tra persone adulte, nelle quali le donne sono vittime dei loro partner hanno effetti devastanti e permanenti dal punto di vista psichico, non solo sulla donna coinvolta, ma anche sugli eventuali bambini, che assistono alla violenza.

L’obiettivo che mi propongo con questo mio scritto è quello di capire, utilizzando alcuni modelli di tipo psicoanalitico, come mai, nonostante gli importanti cambiamenti culturali avvenuti a partire dal ventesimo secolo, rispetto ai ruoli sessuali, la violenza degli uomini nei confronti delle donne, rimanga un fenomeno relativamente frequente.

Cercherò qui di comprendere il comportamento degli uomini violenti: attenzione, ciò non significa che voglio assumere un atteggiamento giustificatorio nei loro confronti, ma, al contrario, che ritengo la comprensione dei meccanismi psicologici che stanno alla base di questo tragico fenomeno la via migliore per cercare di prevenirlo.

Violenza sulle donne e teoria dell'attaccamento

Secondo la teoria dell’attaccamento, proposta dallo psicoanalista inglese John Bowlby (1973), lo scopo principale delle prime relazioni del bambino con i propri genitori è quello di acquisire una sensazione di sicurezza, che lui definisce “base sicura”. E’ fondamentale, a questo proposito, la capacità del genitore di comprendere gli stati di disagio del bambino fin da piccolo e di agire di conseguenza per assicurargli protezione: il fare del male al proprio partner da adulto, può, quindi, rappresentare una reazione ad un attaccamento insicuro che il soggetto ha avuto a partire dalla sua infanzia.

Del resto è esperienza comune, che l’atto violento sia l’espressione di una intensa fragilità psichica: è generalmente il bambino che, nel momento in cui subisce un piccolo oltraggio, ad esempio un tentativo di furto della propria merendina da parte di un coetaneo, reagisce picchiandolo o tentando di farlo. A quel punto interviene la mamma e/o la persona adulta, che in quel momento, si prende cura di lui, mostrandogli che ci sono altre modalità per tutelarsi rispetto ad un torto subito. In questo modo alla violenza, si sostituisce l’assertività, ossia la capacità di esprimere la proprie ragioni in senso auto affermativo, senza danneggiare l’altro.

Violenza sulle donne e mentalizzazione

Il concetto di mentalizzazione è stato introdotto dagli psicoanalisti inglesi P. Fonagy e M. Target (2001). La capacità di mentalizzare, riguarda la possibilità di percepire se stessi e gli altri in termini di stati mentali (dotati, cioè di sentimenti, convinzioni, intenzioni, desideri) e di ragionare sui propri ed altrui comportamenti in termini di stati mentali, attraverso un processo che viene definito riflessione.

La capacità di mentalizzazione non è acquisita geneticamente, ma evolve nel corso dell’infanzia (tra i 2 e i 6 anni circa) e dipende dalla possibilità del bambino di poter entrare in relazione con “menti più mature”: è essenziale, da questo punto di vista, il ruolo dei genitori e/o delle persone adulte che interagiscono con lui. In altre parole, la comprensione che il bambino ha della mente altrui dipende dalla possibilità che egli ha, durante il proprio sviluppo, di essere riconosciuto dal genitore, come soggetto dotato di pensieri e emozioni.

Ciò, gli permette, una volta divenuto adulto, di avere un’adeguata immagine di Se stesso e di poter rapportarsi in modo costruttivo con gli altri. Se ciò non accade, il soggetto percepirà sempre minacciata la propria integrità psichica e non potrà accedere a forme di relazione interpersonali autenticamente reciproche, ovvero a ciò che lo psicoanalista francese Jacques Lacan (1974) ha definito “alterità”.

Gli atti violenti commessi dagli uomini nei confronti delle donne, secondo Fonagy, sarebbero dovuti ad un deficit nella possibilità di mentalizzare, perché qualcosa nel percorso di crescita psichica non ha funzionato in modo sufficientemente adeguato. Ciò può verificarsi per svariate ragioni, quali aspetti costituzionali dell’individuo, mancanze nelle figure affettive di riferimento, etc. Senza poi tralasciare il fatto che i soggetti violenti spesso a loro volta, hanno subito, nel corso del loro sviluppo, maltrattamenti fisici e/o psicologici.

Violenza sulle donne e incapacità di rimanere soli con se stessi

Gli uomini violenti, a causa di una sofferente e torturante immagine di Se stessi, dovuta alla mancata acquisizione di un’adeguata capacità di mentalizzazione, hanno bisogno di stabilire delle relazioni affettive, in cui la partner serva da ricettacolo degli aspetti di Sé per loro inaccettabili e intollerabili. Non sono in grado di stare da soli con se stessi, a causa di un intenso malessere soggettivo, né tanto meno di considerare l’altro, come dotato di un esistenza psichica autonoma e meritevole di rispetto.

L’atto violento ha, quindi, un duplice scopo, espellere e attribuire all’altro aspetti della propria personalità, che causano intensa sofferenza, e distruggerli nell’illusoria speranza che essi possono scomparire per sempre. Percependo il terrore negli occhi delle loro vittime, si sentono, paradossalmente, rassicurati. Le loro successive suppliche sono sincere, non nel senso di un autentico pentimento, bensì a causa del loro bisogno di avere una relazione, nella quale sia possibile questo tipo di esteriorizzazione, in assenza della quale sentono messa a rischio la propria sopravvivenza psichica, perché temono che la coerenza dell’immagine, che hanno di se stessi, venga distrutta dagli aspetti emotivamente nocivi, dei quali volevano liberarsi.

A causa di ciò, questi individui tendono a ricorrere alla violenza, soprattutto quando le loro partner mostrano modi di porsi più autonomi o si ribellano al loro ruolo di vittime designate o ancora, quando minacciano di lasciarli, ponendo fine alla relazione con loro. L’aspetto doppiamente tragico di questo meccanismo è che spesso le donne percepiscono come genuino e sincero il rimorso di questi uomini e ciò stimola il loro bisogno di prendersi cura di loro e le espone a successivi episodi di violenza, se non a rischi di femminicidio.

Conclusioni

Va ulteriormente precisato che, mediamente, gli uomini violenti tendono a dirigere la loro ostilità verso altre persone, perché sfogano all’esterno la propria aggressività e sofferenza, mentre le donne hanno una maggiore tendenza a rivolgerla contro se stesse, attraverso atti autolesionistici.

Generalizzando un poco, si può, inoltre, sostenere che esistono due categorie di atti violenti maschili nei confronti delle donne, una più spiccatamente di natura impulsiva, l’aggressore, generalmente definisce queste situazioni, come causate da rabbia incontrollata e/o spropositata rispetto alla situazione; l’altra frutto di una maggiore premeditazione e pianificazione, dove spesso giocano un ruolo importante le fantasie.

Sebbene i meccanismi psicopatologici da me descritti, possono essere alla base di entrambi i tipi di violenza, forniscono una spiegazione più esaustiva per la prima categoria, perché la seconda si basa spesso anche su presupposti ideologici e/o culturali.

Concludo, affermando che l’uomo forte non è colui che non ha fragilità, anche perché nessun essere umano, chi più, chi meno, ne è esente, o che le denega, bensì colui che quando compaiono delle difficoltà psicologiche, che possano arrecare gravi danni ad altre persone e a se stessi, le affronta, rivolgendosi ad un professionista competente e richiedendo una psicoterapia ad orientamento psicoanalitico, come quelle offerte dal nostro Centro Clinico SPP.

Se desiderassi contattarmi, compila il form di contatto.

A cura del dott. Davide Fiocchi – Centro Clinico SPP dell’Adulto