Gli psicologi vanno dallo psicologo?

Considerando che il lavoro dello psicologo e/o psicoterapeuta si svolge a contatto stretto con aree fragili e danneggiate dei pazienti e che questo comporta sollecitazioni e scosse profonde nel proprio mondo emotivo interno, si può facilmente desumere che, per l’aspirante terapeuta, è requisito fondamentale svolgere un percorso personale di conoscenza di sé, con l’aiuto di un collega più esperto.

Ciò sia nell’ottica di preservare la psiche dello psicologo sia in quella di evitare di nuocere ai propri pazienti: tenendo presente che i due aspetti sono fortemente interconnessi.

Lo psicoanalista e l’analisi personale

Se quanto subito sopra evidenziato è, a mio avviso, valido per tutti gli psicologi e/o psicoterapeuti, lo è a maggior ragione per gli psicoanalisti. Per praticare la terapia psicoanalitica si deve essere, infatti, in grado di operare determinati procedimenti tecnici sul proprio paziente e su se stessi. Per poterli attuare in modo corretto, si devono utilizzare alcuni processi psicologici, che si svolgono dentro di sé, dato che proprio ciò che succede nel mondo interno dello psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico, costituisce lo strumento più valido per poter giungere all’intima comprensione di quello che accade in un altro essere umano. Certamente sono requisiti necessari per lo psicoanalista anche una buona intelligenza, il raggiungimento di un buon livello culturale, una forte motivazione, nonché l’aver ricevuto un’adeguata formazione, ma l’elemento più importante resta la comprensione dei propri aspetti inconsci e di se stessi.

Perché ciò possa accadere è necessario che tutti gli psicoanalisti, prima di poter trattare i pazienti, si siano a loro volta sottoposti a un trattamento psicoanalitico, in modo che possano risolvere i propri problemi personali e/o i propri conflitti inconsci, che altrimenti ostacolerebbero le loro capacità di giudizio e le loro abilità terapeutiche.
Per questo motivo a tutti gli allievi che chiedono di essere ammessi al Corso quadriennale di specializzazione in Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adulto della S.P.P. (Scuola di Psicoterapia Psicoanalitica) di Milano, la Scuola di cui fa parte anche il nostro Centro Clinico, viene chiesto di avere in corso un’analisi personale o di cominciarla entro i primi due anni del training formativo.

Le origini storiche della cosiddetta analisi didattica

L’analisi personale alla quale si devono sottoporre i futuri psicoanalisti è stata definita analisi didattica. Storicamente la sua pratica, fu introdotta agli inizi del ventesimo secolo, dallo psicoanalista svizzero Carl Gustav Jung, quando era ancora vicino alle posizioni di Sigmund Freud. Lo stesso Freud glielo riconobbe nello saggio “Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico” del 1912: “tra i molti meriti della scuola analitica zurighese annovero quello di aver stabilito l’obbligo per chi voglia compiere l’analisi su altri di sottoporsi preliminarmente ad un’analisi presso un esperto. Se si vuole fare sul serio questo lavoro bisogna scegliere questa via, che promette più di un vantaggio...” (p.537).

Successivamente, al Congresso dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale svoltosi a Berlino nel 1922, fu posta ufficialmente l’esigenza dell’analisi per ogni candidato psicoanalista. In “Analisi terminabile e interminabile” del 1937, uno degli ultimi scritti di Freud, il padre della psicoanalisi ridimensionò l’importanza dell’analisi didattica, pur confermando la necessità di svolgerla: “per motivi pratici, quest’analisi può essere soltanto breve e incompiuta; suo scopo principale è di consentire al didatta di giudicare se il candidato può essere ammesso ad un ulteriore addestramento” (p. 531).

La centralità dell’analisi didattica per i futuri psicoanalisti: la posizione di Sandor Ferenczi

Lo psicoanalista ungherese Sandor Ferenczi, si discostò dall’ultima posizione espressa da Freud e nel saggio “Il problema del termine dell’analisi, in Fondamenti di psicoanalisi” del 1927, scrisse: “... Ora, in altre occasioni, ho ripetutamente insistito sul fatto che tra analisi terapeutica e analisi didattica non c’è alcuna differenza di principio. Comunque preciserò meglio il mio pensiero dicendo che se in pratica la psicoterapia non deve arrivare in ogni caso a quel livello di profondità, che comporta un’analisi completa, ciò non vale per l’analista, da cui dipende il destino di tante altre persone. E’ dunque necessario che l’analista conosca e sappia padroneggiare le più nascoste debolezze della propria personalità, cosa che senza un’analisi completa è, appunto, impossibile...” (p. 300).

Così, in epoca più recente nel suo scritto del 1986 “I fondamenti della tecnica psicoanalitica”, lo psicoanalista argentino Horacio Etchegoyen, scomparso nel 2016, ha commentato, quanto espresso da Ferenczi: “... in chiaro disaccordo con il suo maestro (Freud), Ferenczi sostiene che l’analisi didattica non deve soltanto informare il futuro analista dei meccanismi del suo inconscio, ma devo dotarlo dei migliori strumenti per il suo futuro lavoro e che non è concepibile che l’analisi didattica duri meno di quella terapeutica... Direi che il tempo gli ha dato ragione... “ (p. 698).

Conclusioni

E’ indubbio che uno dei pochi punti di contatto tra le diverse scuole di formazione psicoanalitiche è costituito dall’obbligo, per i futuri analisti, di sottoporsi a loro volta ad almeno un’analisi personale. Tutto ciò all’interno di un panorama psicoanalitico che è stato, storicamente, caratterizzato da tentativi di accentuare le rispettive diversità tanto che spesso era difficile identificare un denominatore comune. Credo che questo stia ulteriormente a testimoniare il fatto che è necessario che gli psicologi vadano dallo psicologo, per parafrasare il titolo iniziale del mio articolo.

A cura del dott. Davide Fiocchi – Centro Clinico SPP dell’Adulto

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