Noia: cosa fare quando ci si annoia?

CHE NOIA QUESTA NOIA! PERCHÈ MI ANNOIO COSÌ TANTO?

A volte si sentono adulti, ma anche bambini, dire “uffa, che noia... non so proprio cosa fare...”, tormentati da qualcosa di nebuloso che sentono dentro, vivono un tempo che percepiscono essere vuoto, inesistente, e che richiama quanto scrive Sant'Agostino nell'opera “Confessioni”: “... senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente.

Questa sensazione, che definiamo noia, ha da sempre interrogato grandi filosofi del passato, da Voltaire a Schopenhauer e Nietzsche, ed è stata citata da differenti poeti quali Leopardi e Ungaretti, senza che, appropriatamente, si sia arrivati a una definizione esaustiva della stessa. Sperando di non annoiare il lettore, si proporrà una riflessione sulla noia partendo da una sua possibile descrizione, per passare poi a un confronto tra la noia e l'ozio e a una disamina di come si potrebbe aprire un dialogo con la propria noia.

COS'È LA NOIA?

Per parlare di noia seguendo una prospettiva psicoanalitica, dobbiamo, prima di tutto, fornire delle informazioni sulla teoria freudiana delle pulsioni. Per Freud la pulsione si trova sulla linea di confine tra il corpo e lo psichico: non è né qualcosa di esclusivamente organico, né un fenomeno puramente mentale; potremmo dire che è il luogo in cui avviene il passaggio dalla dimensione del corpo a quella dello psichico.

La pulsione si differenzia dagli stimoli prodotti in noi dagli eccitamenti che provengono dall'esterno, perché si origina nel nostro mondo interno e, in quanto tale, non è possibile fuggire da essa. Ad esempio: da una luce troppo intensa, che arriva dal di fuori, possiamo difenderci chiudendo gli occhi, mentre la fame, che sentiamo dentro di noi, non possiamo evitarla. La pulsione, quindi, richiede di essere soddisfatta attraverso la ricerca del modo in cui scaricare la tensione che produce, ciò affinché non si crei un ingorgo di energia nel nostro corpo; un po' come avviene quando troppe macchine sulla strada provocano un ingorgo del traffico che non permette il regolare fluire della circolazione. Ogni pulsione, pertanto, ha una sua meta da raggiungere: lo scarico della tensione che porta con sé o, in altri termini, il ripristino di una condizione di pace, in cui non vi è più alcunché che ci possa disturbare. Per raggiungere tale meta, la pulsione ha bisogno di un oggetto (ad esempio il cibo per acquietare la fame) e della spinta all'azione che ci fa muovere verso il tanto desiderato obiettivo.

Cosa accade allora nella noia? Ci si annoia perché in noi c'è la pulsione, il desiderio di qualcosa, ma mancano la sua meta o il suo oggetto, oppure siamo noi che non sappiamo più quale oggetto potrebbe soddisfare la nostra pulsione. Resta però la spinta all'azione che, a questo punto, possiamo dire che è rivolta al desiderio di un qualcosa che non c'è, a un desiderio vuoto. Ed è proprio tale condizione in cui viene a trovarsi l'annoiato, che rende la noia una sensazione davvero dolorosa: tutte le cose che lo circondano non danno alcun tipo di piacere, non lo interessano, perché l'annoiato non sa cosa gli manca, non sa cosa desiderare. Non sapendolo, non riesce a impegnarsi per ottenerlo o a disperarsi per la sua mancanza.

L'OZIO E LA NOIA

Potremmo chiederci: “Come mai l'ozioso non si annoia del suo dolce far niente?” Perché nell'ozio, a differenza della noia con cui viene spesso confuso, c'è una spinta all'azione finalizzata all'appagamento della pulsione che lo accompagna, la quale ha il suo oggetto e la sua meta. Per comprendere meglio tale concetto dobbiamo andare indietro nel tempo e recuperare il significato letterario e filosofico che l'ozio aveva nel mondo antico.

Per i Greci e per i Romani l'”otium” era considerato il tempo libero che solo gli aristocratici e i sapienti si permettevano di dedicare alla cura di sé e della propria saggezza, attraverso attività private e piacevoli quali il teatro, lo sport, la scrittura e lo studio. Si trattava, in particolare, di un'alternativa, ritenuta necessaria, al “negotium”, al “non-ozio”, rappresentato dalle attività quotidiane, dagli affari e dagli incarichi pubblici e politici. Con l'ozio, quindi, ci si riservava, e tutt'ora ci si riserva, una vita che definirei ritirata e dedicata alla contemplazione e all'intrattenimento con se stessi.

Da quanto sopra esposto, potremmo trarre la conclusione che l'oggetto che gratifica la pulsione che accompagna l'ozio sia più che altro l'Io, il me stesso, piuttosto che uno specifico oggetto che, comunque, gli si può associare.
La specificità di tale oggetto, tuttavia, non esime certe persone dal sentire anche l'ozio come noioso; percependo proprio se stesse come un oggetto per niente interessante, trovano difficile trascorrere del tempo in compagnia dei propri pensieri e delle proprie fantasie.

COME APRIRE UN DIALOGO CON LA PROPRIA NOIA?

Se è vero che dalla noia nessuno sfugge, è anche vero che a essa nessuno è condannato; se raggiunge dimensioni opprimenti, si può cercare di trarsi in salvo da essa ascoltando ciò che sta comunicando relativamente al nostro modo di essere e di trovarci sia nel mondo esterno sia quando siamo in compagnia di noi stessi. Spesso la noia ci porta a un incontro, non sempre facile, con sensazioni quali l’insoddisfazione, l’impotenza e il vuoto, e dal quale, quindi, tendiamo ad allontanarci volgendo lo sguardo verso un qualsiasi divertimento quale l'eccesso nel mangiare, nel bere e nel fumare, il comportamento sessuale compulsivo, ecc.. Come se chiedessimo al mondo esterno di procurarci quell'oggetto o quella meta che a noi mancano per scaricare la tensione accumulata, di fornirci quel qualcosa da desiderare che cerchiamo e che nel vuoto che abbiamo dentro non riusciamo a trovare.

Si tratta però di una fuga senza fine, in un tempo che non passa mai, perché non ci si può staccare da quella che, in fin dei conti, è una parte insoddisfatta della nostra psiche; una parte che però, sarà pure delusa e deludente, ma è viva e inquieta perché ha voglia di un desiderio. Credo, pertanto, che, per chi vive la noia come una sensazione cronica e molto dolorosa, possa essere intrigante e appagante dedicarsi un tempo in cui interrogarsi su che cosa accade in lui quando è in preda alla noia, sulle ragioni per cui non riesce a darsi una meta o a trovare un oggetto verso cui dirigere la tensione che continua a battere dentro di lui. Le risposte saranno differenti poiché le motivazioni che guidano il nostro comportamento sono uniche e specifiche per ognuno di noi; ad esempio c’è chi potrebbe non essere disponibile a instaurare un rapporto con il mondo circostante perché quando lo ha fatto né è rimasto deluso o ferito o chi si chiude nella propria noia per non confrontarsi con dei compiti sociali rispetto ai quali si sente inadeguato e teme di non esserne all’altezza.

Non essendo un sintomo e neanche una malattia vera e propria, non esistono cure per la noia, però si può cercare di metterla a frutto, aprendo un dialogo con essa da soli o in compagnia di uno psicoterapeuta che possa facilitare la comprensione di un linguaggio a volte un po’ difficile da capire. Non dimentichiamo che la noia è stata lo stimolo ispiratore di alte produzioni letterarie, soprattutto nell'età romantica e che Leopardi, nei “Pensieri”, LXVIII, la descrive come “il più sublime dei sentimenti umani ... il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana”.

Concludo questo articolo ricordando, col sorriso, il ritornello “Che barba, che noia, che noia, che barba”, con cui finiva ogni episodio della celeberrima serie televisiva “Casa Vianello”. Sandra Mondaini si lamentava così, ironicamente, di una “noia relazionale” da cui però non fuggiva forse perché simbolo della bellezza di una coppia che è stata saggia al punto di capire come la quotidianità (da molti considerata profondamente noiosa) sia la melodia di una vera storia d’amore, per loro durata cinquant’anni.

A cura della dottoressa Donatella Rattini, Centro Clinico SPP Milano

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