Stili di personalità e droghe: eroina, ecstasy, cocaina e psicologia

Il mio scritto trae spunto da un interessante libro di Umberto Galimberti (2007), filosofo, psicoanalista, sociologo, accademico italiano e giornalista, dal titolo “L’ospite inquietante – Il nichilismo e i giovani” edito da Serie Bianca Feltrinelli.

Scrive l’autore: “Alla base dell’assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche del tabacco e dell’alcol, c’è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere. Se questo senso non si da, se non c’è neppure la prospettiva di poterlo reperire, se i giorni si succedono solo per distribuire insensatezza e dosi massicce di insignificanza, allora si va alla ricerca di qualche anestetico capace di renderci insensibili alla vita...”. (p.72)

L’eroina, la droga anestetica

Secondo Galimberti, il piacere desiderato dall’eroinomane è quello anestetico: ovvero l’effetto ricercato è quello di sentire di meno, di sottrarsi emotivamente alla vita, di prendervi parte il meno possibile. E’ un meccanismo simile a quello degli eremiti e dei martiri che dicono di no al mondo, perché lo percepiscono come privo di senso e di valore.

I dipendenti da eroina si sottraggono alla quotidianità, perché per loro è priva di speranza, di significato, quando non addirittura psicologicamente opprimente e soffocante. La loro speranza illusoria è che l’assunzione di eroina possa risparmiargli almeno il dolore proprio come un anestetico ed è a questo che tende il piacere di questa sostanza.

Scrive, infatti, l’autore: “Il piacere dell’eroina non è la scelta di una maggiore intensità della vita al prezzo della sua brevità è la scelta dell’astinenza dalla vita, perché questa, una volta apparsa in tutta la sua insignificanza, prosegua pure il tracciato della sua insensatezza, ma risparmiando, almeno, il dolore”. (p.74).

L’ecstasy, il piacere euforico

L’ecstasy o MDMA è una droga sintetica. Gli effetti piacevoli ricercati da coloro che la utilizzano sono essenzialmente due. Uno è di natura fisica e permette di non avvertire la fatica muscolare, ad esempio da la possibilità ai giovani nelle discoteche o ai ‘rave party’ di ballare per trentasei o quarantotto ore ininterrottamente. Ciò non vuol dire, naturalmente, che il corpo non si stanchi e che la fatichi non si paghi, semplicemente al momento non se ne ha la percezione, anche se una volta svanito l’effetto della sostanza ci sono, ovviamente, delle gravi conseguenze. Del resto le soglie del dolore o dell’affaticamento servono proprio per avvertirci che non possiamo fare del nostro corpo ciò che vogliamo e che non siamo onnipotenti.

L’altro effetto è di natura psicologica e permette una maggiore apertura relazionale nei confronti dell’altro, attraverso una riduzione della paura e dell’aggressività, non a caso questa sostanza è stata denominata anche “empathy”, per la sua capacità di favorire la comunicazione e l’interazione tra le persone.

Scrive Galimberti: “Tra gli effetti spiacevoli vanno ricordati: sul piano fisico il surriscaldamento con la possibilità... di morire per collasso da calore, per cui l’ecstasy è cinque volte più tossico in condizioni affollate che in isolamento; sul versante psicologico il possibile scatenamento di attacchi epilettici o di attacchi psicotici, più frequenti in personalità già predisposte” (p.77).

Da quanto sopra evidenziato, risulta evidente che questa sostanza rappresenta, per chi la utilizza, un tentativo di risolvere e superare con la chimica alcune caratteristiche negative della nostra cultura dominante attuale, ossia la solitudine di massa e gli ostacoli che rendono difficile comunicare, se non in maniera artificiosa in pubblico e con modalità noiose e ripetitive nel privato. Per le persone, invece, che sono già inserite nel mondo del lavoro, l’uso di questa droga rappresenta l’illusione di poter superare l’atteggiamento sempre corretto, freddo ed impersonale, che impone la loro vita professionale, lasciandosi andare a quello che, gergalmente, viene definito lo “sballo”.

Ancora interessante, da questo punto di vista, quanto sottolinea Galimberti: “Coloro che si nutrono di ecstasy, anche se animati dal desiderio di sottrarsi agli aspetti invivibili della cultura dell’Occidente, a loro insaputa non fanno che confermare a livelli elementari quello che è il tratto tipico di questa cultura, ovvero la volontà di potenza che nulla vuole se non che il mondo desiderato agisca a nostro comando...”. (p.79)

Cocaina, la droga stimolante ed eccitante

Le modalità con le quali si manifesta il disagio psicopatologico non sono immutabili nel tempo, ma risentono delle trasformazioni sociali e culturali. E’ avvenuto, così, che a partire dagli anni settanta del secolo scorso la depressione  sia diventata la forma di sofferenza psichica più diffusa e si sia sostituita alle forme nevrotiche, che avevano caratterizzato la seconda metà dell’Ottocento e la prima parte del Novecento.

Scrive Galimberti: “La nevrosi, infatti, è un conflitto tra il desiderio che vuole infrangere la norma e la norma che tende ad inibire il desiderio. Come conflitto, la nevrosi trova il suo spazio espressivo nelle società della disciplina che si alimentano della contrapposizione tra il permesso e il proibito, con conseguente senso di colpa, una macchina che ha regolato le individualità fino a tutti gli anni cinquanta e sessanta...Poi a partire dal Sessantotto e via via nel corso degli anni successivi, la contrapposizione fra il permesso e il proibito è tramontata, per far spazio a una contrapposizione ben più lacerante, che è quella tra il possibile e l’impossibile...Quello che è saltato nella attuale società è il concetto di limite. E in assenza di un limite, il vissuto soggettivo, non può che essere di inadeguatezza, quando non di ansia e, infine, di inibizione...” (pp. 80 -82).

L’effetto ricercato dal cocainomane diventa, quindi, quella sensazione di onnipotenza, che tale droga generalmente provoca: i sintomi depressivi improvvisamente scompaiono e la persona è, così, perfettamente omogenea ai valori della cultura dominante. Ci sono, però, anche in questo caso, gravi controindicazioni.

La prima è che la sensazione di pseudo benessere indotta dalla cocaina è momentanea, successivamente tutto torna come prima o, per meglio dire, peggio di prima; ne consegue che per sopravvivere psichicamente, se ne diventa dipendenti e schiavi e ci si priva, in ogni caso della propria libertà. Senza poi dimenticare le ulteriori conseguenze negative che l’assunzione di questa sostanza provoca, a livello di salute (fisica e mentale), economico, relazionale, familiare, etc. .

La seconda è che la cocaina permette apparentemente di superare se stessi e di aderire completamente alle richieste di massima efficienza della nostra società, ma a spese di una rinuncia della propria emotività e di un annullamento della propria vita interiore.

Conclusioni

La domanda da porsi è: come se ne esce? Galimberti sostiene che per “rompere il circolo vizioso” è necessario “prendersi cura” dei nostri piaceri, ma non attraverso la ricerca della loro soddisfazione immediata come fanno i bambini, bensì tramite un atteggiamento adulto, che si caratterizza per un differimento del godimento in forme compatibili con il mondo, con gli altri e con la nostra sopravvivenza fisica e psichica.

Come teorizzato da Sigmund Freud, il principio del piacere infantile deve, infatti, lasciare il posto al principio di realtà adulto.

A cura del dott. Davide Fiocchi – Centro Clinico SPP dell’Adulto Milano

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