Interrompere una psicoterapia: le cause del drop out

Che cos’è il drop out in psicologia e in quali modalità può avvenire? Quali sono le cause principali dell’interruzione di una psicoterapia? Il dr. Simone Maschietto, direttore scientifico della SPP di Milano per l’età adulta, e il dr. Secondo Giacobbi ci portano alla scoperta di questa tematica attraverso i loro interventi effettuati durante l’evento “Il filo spezzato: psicoterapie interrotte o incomplete”.

DROP OUT: QUALI SONO LE CAUSE DELL’INTERRUZIONE DI UNA PSICOTERAPIA PSICOANALITICA?

Il primo intervento della giornata è stato a opera del dr. Maschietto, il quale ha focalizzato la propria attenzione sul drop out, ovvero sull’interruzione di una psicoterapia e più precisamente sulle cause da cui questa interruzione viene determinata.

“Capita a volte che la terapia venga interrotta già dopo pochi colloqui, in seguito all’errata interpretazione da parte dello psicoterapeuta nei confronti del disagio del paziente, il quale non si sente quindi compreso. Oppure l’interruzione può essere dovuta anche alla proposta di presa in carico fatta dal terapeuta. In tal senso è fondamentale distinguere tra psicoanalisi e psicoterapia. La prima prevede infatti un setting terapeutico rigoroso con più sedute settimanali e, come tale, deve essere proposta a un paziente che abbia le possibilità di sostenerla”.

Per evitare che avvenga un drop out nelle fasi iniziali di una terapia, è dunque importante tenere conto di questi aspetti, ma non solo.

“Un paziente è adatto all’analisi, citando lo psicoanalista argentino Horacio Etchegoyen, quando ha superato l’angoscia di separazione e raggiunto la costanza dell’oggetto, poiché la separazione tra il sé e l’oggetto risulta tollerabile. È perciò importante comprendere bene chi abbiamo davanti in modo da riuscire ad avanzare una valida proposta di trattamento. Con “pazienti difficili” non si può infatti svolgere una analisi classica, visto che sarebbe in pericolo la neutralità, in quanto il coinvolgimento diviene un punto fondamentale, mentre noi non dobbiamo avere paura di restare coinvolti sul piano emotivo”.

Le caratteristiche del terapeuta sono un altro aspetto da tenere in considerazione e, a proposito di questo argomento, ecco qui le parole del dr. Maschietto.

“Un buon inizio è indispensabile perché una psicoterapia sia durevole e, perché ciò accada, lo psicoterapeuta deve essere empatico, non invece troppo rigido e dogmatico, e con la capacità di offrire un ambiente regressivo. Si deve dunque creare un transfert positivo, cioè nella mente del paziente deve insorgere la rappresentazione che dall’oggetto possa giungere qualcosa di buono. Una buona partenza equivale perciò a un buon arrivo”.

Terminata questa prima fase, il dr. Maschietto si è spostato sulla tematica riguardante il drop out durante una terapia in fase avanzata, analizzandone i fattori principali.

  • - Impasse: per quanto il paziente continui a venire in terapia, il processo diviene stagnante. Sin dall’analisi della domanda capita di capire che questi non ambisca a un reale cambiamento, ma desideri semplicemente eliminare il sintomo. Ciò risulta quindi una sorta di rattoppo e l’utilità del lavoro terapeutico si blocca.
  • - Reazione terapeutica negativa: accade quando il paziente, nonostante stia migliorando, non regge questi miglioramenti.
  • - Fuga nella guarigione: come dice lo psicoanalista Antonio Alberto Semi, “tra la ricerca di verità e la sicurezza, molti sceglieranno la sicurezza”. Ciò significa che, seppur il nostro ideale preveda un percorso trasformativo completo, il paziente preferirà scappare dalla guarigione e conseguentemente dal lavoro terapeutico pur di rimanere ancorato alle “certezze” del passato.
  • - Diniego: quando la terapia si “scontra” con una struttura perversa narcisistica, la terapia si ferma perché non si può più progredire. Far saltare il lavoro analitico pur richiedendolo è un tratto perverso. In questa situazione si ha dunque una percezione della realtà e allo stesso tempo la si rifiuta. A volte anche una analisi didattica è una perversione (faccio l’analisi non per farla, ma per prendere un titolo). Lo psichiatra e psicoanalista americano Donald Meltzer ha trattato nei dettagli il “disturbo di personalità post-analitico”, riferendosi a chi ha fatto un’analisi senza volerla fare e quindi intellettualizzata, dove tutto “si sa” ma non è avvenuta alcuna trasformazione interna.
  • - Transfert psicotico: così come nei casi di transfert perverso, pure il transfert psicotico rende molto difficile il lavoro analitico.

PSICOTERAPIA COME UN APPROCCIO RELAZIONALE (PARADIGMA) CHE ORIENTA LE MENTI

Conclusa la relazione del dr. Maschietto, la parola è spettata al dr. Giacobbi, il quale ha intitolato così il proprio intervento: “In che modo la "relazione" è curativa nella psicoterapia? E in che modo la cura della relazione terapeutica la preserva dalle rotture?”.

Subito ha presentato l’approccio relazionale che, da scuola e orientamento, è diventato un punto di vista egemone e dominante, al punto che tutti gli psicoterapeuti potrebbero definirsi “relazionalisti”.

“La psicoterapia è innanzitutto un evento relazionale e l’approccio relazionale è divenuto un paradigma che orienta le menti e rappresenta un orizzonte ampio e condiviso in cui tutti si riconoscono e si collocano a prescindere dai singoli modelli. Possiamo descrivere il paradigma relazionale, partendo dalla psicoanalisi e dalle sue questioni di pratica della psicoterapia psicoanalitica, in questo modo. C’è stato un passaggio dalla psicoterapia / psicoanalisi monopersonale a bipersonale. Il terapeuta contribuisce in modo fondamentale al processo, non soltanto con le sue “funzioni”, ma sollecitando precisi transfert. Esiste infatti anche un transfert dell’analista e non solo un controtransfert, cioè pure il paziente è un oggetto transferale, quindi io terapeuta posso proiettare sul paziente figure o “fantasmi” di tipo sessuale o affettivo”.

Arrivato a questo punto, il dr. Giacobbi si è posto il seguente interrogativo: “Quale relazione è terapeutica e in che modo questa relazione può mettere al riparo paziente e terapeuta dal drop out?”.

Ecco qui la sua risposta: “La relazione non è di per sé terapeutica in quanto buona, ma deve essere una precondizione essenziale per un successo terapeutico. Qual è allora l’agente terapeutico? La relazione è terapeutica in quanto “altra”, perché contraddice e si contraddistingue dalle altre”.

Quindi, prima di proseguire, ha precisato un’importante premessa metodologica: “Qualsiasi nostro intervento e modo di porci deve, in via di principio, passare attraverso il ruolo. Le due persone nella stanza d’analisi interagiscono in modo asimmetrico. Il terapeuta entra in relazione con il paziente tramite la mediazione del ruolo. Se il paziente deve dire tutto ciò che gli passa per la mente, il terapeuta deve pensare ciò che vive e sente prima di esprimerlo. Al paziente è richiesta l’immediatezza, al terapeuta invece l’attenzione liberamente fluttuante... su cui però deve esercitare un setting interno”.

Come deve essere quindi la relazione terapeutica?

“La relazione terapeutica deve essere duale e non paritaria, empatica, neutrale. Per neutralità non si intende l’indifferenza, ma significa non intervenire parteggiando. La “differenza” del terapeuta è che non ha mire sul paziente. Ci sono inoltre strumenti caratteristici nell’esercizio del ruolo terapeutico:

  • - Il silenzio, che contraddice ciò che avviene “fuori”
  • - La non risposta, che può allo stesso modo non essere compresa dal paziente e per questo motivo gli va spiegato che non è indice di maleducazione, ma che il terapeuta tratta il materiale portato come prezioso per lavorarci insieme
  • - i “non consigli”, poiché il paziente arriva con un sacco pieno di consigli e non gli si dà un rimando immediatamente gratificante, poiché non è ciò di cui ha bisogno”.

A proposito dei due relatori, qui potete trovare le schede del dr. Simone Maschietto e del dr. Secondo Giacobbi. Inoltre vi consigliamo di dare uno sguardo al post di presentazione del libro del dr. Maschietto (con prefazione del dr. Giacobbi), dal titolo: “Solitudini condivise. Esperienze cliniche in psicoanalisi”.

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Centro Clinico SPP Milano età adulta