Psicoanalisi o terapia cognitivo - comportamentale?

Nei primi mesi del 2016 è stato pubblicato un articolo, sulla rivista “Internazionale”, firmato dal giornalista Oliver Burkeman, che ha messo nuovamente sotto i riflettori un dibattito che ha avuto inizio moltissimo tempo fa e che sembra non aver ancora trovato una risposta univoca: tra le “cure della mente” qual è la migliore? Vince la psicoanalisi o la terapia cognitivo-comportamentale?

Gli esponenti delle varie correnti di pensiero hanno cercato, attraverso ricerche scientifiche e i relativi dati empirici, di affermare la propria supremazia nel campo della cura della mente. Se chiediamo a un paziente cosa vorrebbe ottenere dalla psicoterapia, egli sicuramente risponderà: “Stare meglio al più presto”. Di fronte a tale richiesta, sicuramente, la TCC offre (quasi sempre) quella tempestività e quell’efficacia che il paziente ci chiede proprio perché agisce sulla ristrutturazione del pensiero che ci fa star male. Ma se chiedessimo al paziente, che siede dinnanzi a noi, di andare a scovare nel suo inconscio l’origine di quel malessere perché solo andando alla radice della sofferenza si può star meglio, probabilmente comprenderebbe l’importanza del proprio tempo interno e lascerebbe l’idea di star “meglio” in poco tempo. La complessità della mente umana con le sue ambivalenze, paure, desideri, pulsioni etc. non può essere ridotta a uno slogan che promette “felicità in cinque sedute” ma richiede tempo, per sentire, per elaborare, per comprendere e per crescere.

Molti sostengono che la terapia psicoanalitica non stia al passo con i cambiamenti della società, con la modernità. A mio avviso è sempre stata così, perché ha un obiettivo che potremmo definire “contro natura” e cioè quello di accendere una luce su ciò che noi non vogliamo vedere, su ciò che ci fa paura. I bambini spesso hanno paura di cose che, viste da adulti, non sono così spaventose. Intendendo la terapia psicoanalitica come un percorso evolutivo, gli psicoanalisti aiutano i pazienti a non avere più paura dei “mostri sotto il letto”.

Internazionale - psicoanalisi o cognitivo-comportamentale?

L’articolo offre molti spunti di riflessione e dati neuroscientifici dimostranti che la terapia psicoanalitica, a lungo “ghettizzata” perché considerata poco efficace, in realtà garantisce un beneficio più duraturo nel tempo rispetto ad altre terapie.

Senza proclamare un vincitore e un vinto – la sofferenza umana ha una dignità che dovrebbe essere superiore a qualsiasi dibattito – riporto qui il passaggio conclusivo dell’articolo:

“Eppure, anche questa conclusione – che semplicemente non sappiamo quali terapie funzionino meglio – potrebbe essere vista come un punto a favore di Freud e dei suoi successori. (...) Ma la sua eredità è il monito che non dobbiamo necessariamente aspettarci nella vita una totale felicità, né presupporre che potremo mai veramente sapere cosa accade dentro di noi – anzi, siamo spesso profondamente ed emotivamente impegnati a preservare la nostra ignoranza sulle verità inquietanti. “Quel che accade in terapia”, dice Pollens, "è che la gente viene a chiedere aiuto, e la cosa che fa subito dopo è cercare di farci smettere di aiutarla." Il suo sorriso ci lascia intendere l’assurdità della situazione – e forse dell’intera impresa terapeutica. “Come possiamo aiutare una persona quando questa dice, in un modo o nell'altro, 'Non aiutarmi’? Questo è ciò di cui si tratta nella terapia analitica".

Lavorare con la parte conscia del paziente che richiede aiuto e con quella inconscia che lo rifiuta, è ciò che rende la terapia analitica diversa da tutte le altre.

Dott.ssa Valentina Carella - Centro Clinico SPP dell'Adulto

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