Relazioni tossiche: come riconoscere la dipendenza affettiva e uscirne

Se, come diceva Freud, i pilastri sui quali poggia la nostra salute psicologica sono “amare e lavorare”, non stupisce che incappare in una relazione disfunzionale possa essere fonte di grande sofferenza. Purtroppo, capita con relativa frequenza che chi si trova a vivere una storia d'amore che fa soffrire non metta in discussione la relazione, ma la propria persona. É quel che accade, perlopiù alle donne, quando nel legame sentimentale si sviluppa la dipendenza affettiva dal partner.

Come si manifesta la dipendenza affettiva

Il primo passo per uscire dalla dipendenza affettiva è la possibilità di riconoscere come tale il proprio legame d'amore. Una certa retorica legata all'amore romantico può portare però chi soffre di dipendenza affettiva a pensare semplicemente di “amare troppo” (come recita il titolo del famoso libro di Robin Norwood “Donne che amano troppo”), col risultato che lo stato di dipendenza e la sofferenza ad esso collegata si mantengono nel tempo.

La dipendenza affettiva, in realtà, si presenta con caratteristiche piuttosto precise: chi soffre di dipendenza affettiva sviluppa nei confronti di una persona oggetto d'amore, solitamente il partner, dei sintomi simili a quelli che interessano chi è dipendente da una sostanza, dal bisogno spasmodico della presenza dell'altro ai pensieri ossessivi in sua assenza, dall'euforia all'astinenza.

Solo all'interno della relazione la persona sente di poter essere felice e appagato, e, contrariamente a quel che accade nell'amore maturo, non è possibile sperimentare uno stato di benessere persistente in assenza dell'oggetto d'amore perché manca la capacità di mantenere la presenza interiorizzata dell'altro. La felicità dipende dalla presenza dell'altro, e il senso del proprio valore personale finisce per essere drammaticamente vincolato al giudizio dell'altro. Il male più temuto è l'abbandono: quando l'amato è lontano si scatena la paura ossessiva di perderlo, paura che può manifestarsi con una gelosia morbosa e condotte compulsive, come il controllo costante del telefonino.

Il resto del mondo sbiadisce al confronto con la relazione e con la figura dell'altro; a poco a poco vengono messi in secondo piano anche i propri bisogni e la cura di sé, col risultato che le altre aree, incluse le relazioni d'amicizia, vengono trascurate e l'isolamento aumenta, portando a stringere ancora di più la dipendenza col partner in un circolo vizioso difficile da spezzare. Chi soffre di dipendenza affettiva sperimenta ansia, depressione, senso di isolamento, ha una spiccata tendenza a rimuginare sul passato e a pensare con ansia al futuro, sperimentando dolorosi sentimenti di vergogna e di scarsa autostima e autoefficacia.

Chi è il dipendente affettivo?

Chi soffre di dipendenza affettiva è tendenzialmente donna. Spesso si tratta di donne che negano i propri bisogni personali, mentre si prodigano per soddisfare i bisogni del partner e dei familiari, adoperandosi per rendersi necessarie agli altri. La dipendenza affettiva solitamente ha radici nella prima relazione d'amore, quella con la madre. L'individualità nasce nella relazione, la soggettività nell'intersoggettività (“La nascita dell'intersoggettività” di Ammaniti e Gallese), a partire dal rapporto che il neonato ha con la madre fin dalla nascita.

Alla base della dipendenza affettiva sta uno stile di attaccamento insicuro, che contraddistingue chi nella prima infanzia non ha potuto contare su di una madre sufficientemente buona, e si è dovuto confrontare con una madre a volte presente, a volte assente, imprevedibile e non affidabile.

La psicoanalista americana Jessica Benjamin (“Legami d'amore”, Raffaello Cortina Editore 2015) evidenzia come, accanto alle motivazioni intrapsichiche e a quelle intersoggettive, la donna possa trovarsi in una situazione di dipendenza affettiva anche per i fattori culturali, che creano in lei una propensione per un ”amore ideale” nel quale si sottomette all'uomo e lo ammira vedendo il lui quel che lei non può essere.

La passività e la dipendenza della donna secondo la Benjamin hanno radici antiche: nella prima infanzia il maschio, dopo una prima fase di identificazione con la madre, che rappresenta la dipendenza, se ne distacca per identificarsi col padre, che simboleggia invece l'autonomia e fa da ponte con il mondo esterno; la bambina, invece, rimane identificata nella madre, in una posizione più passiva. Questo si riflette anche nella sessualità, dove la donna non è soggetto del proprio desiderio, ma oggetto del desiderio dell'uomo. Questa posizione di passività si è mantenuta anche dopo che la liberazione sessuale ha scardinato l'equazione natura femminile-maternità: anche la donna sexy, per quanto apparentemente emancipata, è oggetto (del desiderio dell'uomo).

Sarebbe possibile uscire da queste dinamiche andando oltre la polarizzazione maschile-femminile, se ogni genitore sostenesse diverse identificazioni sessuali e fornisse un esempio di integrazione, invece che di complementarità madre-padre.

La donna che soffre di dipendenza affettiva può legarsi a partner molto diversi fra loro, ma spesso la donna trova un incastro ideale con un uomo molto centrato su se stesso, un narcisista che la desidera, ma non ha bisogno di lei e perciò la fa soffrire. Il partner le offre allo stesso tempo il contenimento che dovrebbe offrire la madre e l'apertura stimolante verso l'esterno che dovrebbe offrire la figura paterna e le dinamiche che si sviluppano da questa combinazione rendono via via sempre più difficile liberarsi dalla dipendenza affettiva.

Relazioni tossiche, come uscire dalla dipendenza affettiva?

Difficile pensare di poter uscire dalla dipendenza affettiva senza un aiuto, per il semplice fatto che nella relazione la vittima perde progressivamente il senso del proprio valore, la stima di sé, la capacità di vedere quel che succede intorno a sé e di riconoscere e regolare le proprie emozioni. Solo all'interno di una psicoterapia sarà possibile risalire alle cause profonde che sono alla base della dipendenza effettiva e liberarsi da essa.

Dr.ssa Sara Pagani - Centro Clinico SPP MI età adulta

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